Operazione Ippocrate: i nostri militari in Libia, ma in quale contesto?
E’ partita la missione umanitaria italiana in Libia, l’operazione Ippocrate vedrà le nostre Forze Armate operare in un contesto delicato ed in costante evoluzione.
Il Governo di Accordo Nazionale libico, l’8 agosto scorso, nonostante se ne parlasse già da qualche tempo, ha formalmente richiesto il supporto dell’Italia per il dispiegamento e la gestione di una struttura medica campale per il supporto sanitario alle truppe di Misurata, da tempo impegnate a combattere contro le milizie islamiste del sedicente Stato Islamico. Durante il mese di agosto funzionari della Difesa, unitamente ad un limitato contingente delle forze speciali italiane, precedentemente schierato alle dipendenze dell’AISE per attività di intelligence, hanno svolto una serie di sopralluoghi per individuare il sito logisticamente e tatticamente più idoneo per impiantare la struttura; tali valutazioni hanno portato a considerate l’aeroporto di Misurata quale area idea per l’installazione.
Ovviamente tale installazione è situata in una zona particolarmente delicata ed il nostro personale potrà trovarsi esposto al pericolo concreto di attentati terroristici e scontri a fuoco ad elevata intensità; per questo motivo il nostro contingente prevederà un imponente dispositivo di sicurezza a protezione del personale sanitario e logistico. Oltre agli assetti “boots on the ground”, l’operazione denominata “Ippocrate”, prevederà la presenza al largo delle coste libiche di una nave distaccata dall’operazione Mare Sicuro ed un vettore aereo C-27J dell’Aeronautica Militare sarà di base a Misurata per eventuali evacuazioni di emergenza e Stratevac.
Il nostro contingente, secondo quanto dichiarato dal Ministro Pinotti, sarà costituito da una aliquota per la funzione sanitaria che sarà composta da 65 medici e infermieri, da un’aliquota composta da 35 unità per la funzione di supporto logistico generale ed una terza aliquota composta da 100 unità che rappresenterà la vera e propria componente di force protection. La struttura garantirà cure, visite specialistiche ed interventi chirurgici. Attualmente l’assetto che prevede inizialmente la disponibilità di 12 posti letto per le urgenze (ROLE1) è già operativo e verrà potenziato, durante il mese di ottobre, per raggiungere la capacità di gestire 50 posti letto in degenza (ROLE2). Una piccola aliquota sanitaria, composta principalmente da medici ed infermieri, sarà destinata all’ospedale civile di Misurata, dove opererà per portare soccorso alla popolazione civile.
Ma qual è il contesto in cui si troveranno ad operare i nostri uomini? Qual è la situazione in Libia oggi?
Nonostante la sconfitta dell’ISIS sia ormai scontata e questione di tempo, la situazione generale è molto complessa e si presterebbe ad una trattazione complessa, con molteplici chiavi di lettura, volendola – tuttavia – riassumere semplicisticamente in poche parole potremmo dire che la Libia è divisa in due grandi schieramenti: Ovest ed Est. La zona Ovest è costituita dalla Tripolitania ove “comanda” il Governo di Tripoli, ovvero il Governo di Accordo Nazionale, internazionalmente riconosciuto, sotto egida ONU, supportato dagli Stati Uniti e dall’Italia, ma non appoggiato dalla Camera dei rappresentanti di Tobruk. Il Governo di Tripoli può contare su un buon alleato, rappresentato dalla città di Misurata che è molto influente, in quanto dispone di forze numerose e ben armate. La zona Est è invece la Cirenaica, controllata, di fatto, dal Generale Khalifa Haftar, appoggiato a sua volta dall’esercito, dalla Camera di Tobruk, dalla Russia di Putin e recentemente dalla Francia, mentre Egitto ed Emirati Arabi Uniti forniscono aiuti militari.
In questo momento le forze di Misurata stanno finendo di liberare la città di Sirte dallo Stato Islamico; epilogo di una battaglia che prosegue da giugno. Nel frattempo le forze di Haftar stanno prendendo il controllo dei terminal petroliferi più importanti tra quelli ubicati nel golfo di Sidra. Chi controlla i pozzi di greggio controlla – di fatto – la Libia; per questo è come se Haftar avesse dichiarato guerra a Tripoli. Le brigate di Misurata che finora avevano protetto Tripoli sembra abbiano fatto sapere al Governo di unità nazionale che non combatteranno contro Haftar. Il piano di pace pensato l’anno scorso prevedeva un compromesso tra il Governo di Tripoli, guidato da Fayez Al Serraj e Haftar, ma è chiaro che quel piano di pace sta andando in fumo. In teoria il Governo di Tripoli potrebbe offrire al Gen. Haftar un posto da comandante in capo dell’esercito libico, ma perché Haftar dovrebbe accontentarsi quando può diventare il nuovo uomo forte del Paese?
Il contingente italiano potrebbe, quindi, trovarsi presto catapultato da una missione sanitaria a supporto delle forze anti-ISIS, nel bel mezzo di una nuova guerra civile in Libia. Al di là della solita ipocrisia istituzionale, tipicamente italica, occorre considerare che l’Italia ha da sempre importanti interessi in Libia e ad oggi giova ricordare, per esempio, che è proprio dalla Libia che parte, in misura maggiore il flusso migratorio verso le nostre coste; volendo essere più veniali, anche dal punto di vista prettamente economico è importante tenere presente che gli esiti della guerra sull’economia libica sono stati pesantissimi e che la ricostruzione potrebbe essere un obiettivo d’interesse per le nostre aziende, ma parliamo di una delle principali fonti di reddito della Libia: il petrolio; questi anni di sconvolgimento politico e guerra, hanno portato ad un crollo della produzione di greggio mai registrata prima (dai 1,4 milioni di barili al giorno pre-crisi si è passati a circa 400.000 barili al giorno nel 2015). L’unica compagnia petrolifera straniera che ha continuato ad estrarre gas e petrolio nel Paese è stata – udite udite – l’italiana ENI, che gestisce il gasdotto Greenstream che collega la Libia con l’Italia.
Senza falsi moralismi è – forse – comprensibile che l’Italia cerchi di mantenere un posticino al sole della Libia e che quindi il gioco valga la candela… o no?