Missione compiuta: l'Italia è fiera di Voi!

Missione compiuta: l’Italia è fiera di Voi!


Si, l’Italia è fiera di voi ragazzi… o meglio una parte di Italia, quella “buona”, quella sincera, quella che apprezza ancora valori in via di estinzione quali l’amor patrio ed il rispetto, quella che riconosce la dedizione e l’impegno, il coraggio ed il senso del dovere; si perchè – purtroppo – una buona fetta della nostra amata Italia ha la memoria corta e una buona dose di ipocrisia, si ricorda dei nostri militari solo quando rientrano avvolti in una bandiera o peggio li denigra e ne offende pubblicamente il loro sacrificio durante le manifestazioni.

Per rendere omaggio a quei ragazzi che, lontani dai loro cari e dai loro affetti, combattendo contro le avversità e – perché no anche contro la paura – hanno saputo tenere alto il nome dell’Italia, dedichiamo le bellissime parole di un grande giornalista, Toni Capuozzo, pronunciate in un cortometraggio dal titolo “Afghanistan addio” girato poco prima del termine della missione ISAF.

La missione “International Security Assistance Force” (ISAF) iniziata nel 2003 è terminata il 31/12/14, sostituita dalla missione “Afghanistan RS” (Resolute Support) incentrata sull’addestramento, consulenza e assistenza in favore delle Forze Armate (Afghan National Security Forces – ANSF) e le Istituzioni afgane.

Con questo post vogliamo ricordare non solo i 54 caduti italiani che tra le montagne Afgane hanno perso il bene più prezioso, non solo i tanti ragazzi che porteranno sul corpo i segni delle ferite riportate in combattimento, ma anche tutti coloro che hanno operato in quei territori martoriati e che – magari – le ferite le portano dentro al cuore, in silenzio, mascherandole con un portamento marziale, perchè – in fondo – si è militari sempre, anche quando si soffre.

Raccontarli adesso, questi uomini e donne, questi ragazzi e questi padri di famiglia italiani che stanno in Afghanistan, è fin troppo facile. Basterebbe raccontarvi la vita di ciascuno di loro, adesso che  sono vivi, e non scoprire le loro biografie troppo tardi, necrologi , come è toccato ai loro colleghi di Nassirya.

Basterebbe dire le loro semplici verità, sulla bocca di un ragazzo milanese che non è scappato da nessuna miseria, da nessuna disoccupazione, e ha solo scelto di vestire una divisa e fare al meglio il proprio lavoro o quelle delle del ragazzo del sud, che spera di ritornare a casa, ma a lavoro fatto.

 Basterebbe raccontare, insieme con le loro piccole verità, le loro piccole bugie, quando telefonano a casa e dicono che va sempre tutto bene, che no, nessun razzo è stato tirato verso il loro campo, e che si può girare tranquilli , nelle strade di Kabul, non credete a quello che scrivono i giornali, e tanto, sono mesi che non scrivono di Kabul o di Herat, ci si ricorda di loro solo quando c’è da spolverare un tricolore, funerali di Stato. 

 Basterebbe dire del loro piccolo orgoglio: sono in un paese lontano, insieme con altri ottomila militari di 35 paesi, e per nove mesi è stato affidato a loro il comando di una missione che ha un compito duro: aiutare il governo di Kabul a ricostruire il paese, adesso che è stato eletto per la prima volta dopo trent’anni un parlamento, e dare sicurezza a terre dove spadroneggiano i signori della guerra, i signori della droga, le milizie tribali, ma dove, intanto, i talebani sono costretti agli agguati, ai razzi, a spadroneggiare su lontani villaggi, non più liberi di distruggere i Buddha, di vietare gli aquiloni, di imporre il velo e la barba, e di fare del paese una palestra per il terrorismo globale. Nove mesi di comando, missione compiuta, con il rispetto degli altri contingenti, e la stima delle autorità locali. Pensate che ci sarà la diretta della cerimonia di fine comando nelle televisioni lontane del loro paese, del nostro paese ? No, meglio le elezioni dei presidenti di camera e senato minuto per minuto, o il concerto del primo maggio, canzone dopo canzone: passioni locali. Del resto sono lontani.

L’Italia sono solo i nomi del bar dove passano la serata, bar Milano, o degli edifici dove trascorrono le notti: villaggio Firenze e villaggio Napoli, e nel giardino che cerca di far dimenticare la polvere di kabul hanno costruito un colosseo in miniatura: è l’Italia sognata. Quella che si ricorda che i blindati sono blindati per modo di dire, quando qualcuno muore, ma che se ne dimentica quando deve dividere i bilanci delle spese – ultimi, in Europa. Loro, si accontentano di sviare il discorso con i colleghi di altri paesi, quando si parla del soldo: meno di tutti gli altri. Del resto non sono eroi, vanno in giro per il mondo perché glielo chiede il governo di turno, e per passione, e per pagare il mutuo: gente normale. Quando gli tocca di essere eroi alla memoria, la memoria del paese vale duecentomila euro una tantum. Poco ? E’ stata raddoppiata dopo Nassirija, prima era una elemosina. I telegiornali intervistano le vedove. Se parlano,  hanno il pudore di non dire della pensione. Poco più di mille euro per un carabiniere morto, meno di duemila per un maresciallo. Gli applausi, alla prossima sfilata del due giugno, sono gratis.

Ma non sono poveracci, perché hanno una qualità che scarseggia, nel prodotto lordo del paese: hanno una dignità silenziosa. Quella che si accontenta di fare bene il proprio lavoro, di esserne orgogliosi, e di vedere qualche frutto di quello che si fa, fosse solo la gratitudine dei contadini, quando distribuisci  medicamenti veterinari per 35mila capi, o quando fornisci i materassi al carcere minorile di Kabul, dove dormivano per terra.

E come ci si deve sentire quando un ex presidente della repubblica propone ritiro subito, anche dall’Afghanistan? Come si devono sentire quando qualcuno dice se la sono cercata, o semplicemente è colpa di chi li manda al macello, come se fossero automi, e non gente che crede in quello che fa. Glielo ordinassero, tutti a casa, obbedirebbero, come sempre. Con il solo amaro in bocca di non essere stati capiti  da un paese pacifista a parole – chi ce lo fa fare a stare laggiù?- che non sa, non apprezza, o non conosce il loro lavoro. E se andasse davvero così, tutti a casa?  Sopravvivremmo tutti, non sarebbe la fine del mondo, e per la pace nel mondo può bastare una preghiera, un disegno a scuola, una bandiera alla finestra, una manifestazione, un convegno, e qualche appello. Tutti a casa,  e le missioni una cosa da museo, da passato.

 L’abbiamo visto, il generale italiano che comanda la missione, mentre si scopriva una piccola lapide in memoria di una giornalista che correva verso la sua verità, tra le montagne d’Afghanistan.  Possiamo contraccambiare, da giornalisti, prima che venga il tempo delle lapidi, o quando il tempo del lutto è passato, e dire che c’è un pezzo d’Italia, qui e in tante altri posti, di cui una volta tanto non vergognarsi? Diciamo così: gli italiani nel mondo li abbiamo scoperti quando hanno deciso l’esito delle nostre elezioni. E questi italiani nel mondo, in divisa, vogliamo scoprirli, loro che di politica non si interessano, loro che non decidono niente e  si limitano a dare l’idea di un paese che fa la sua parte, che sa proteggere i deboli e farsi rispettare, che non nasconde la propria cultura ma rispetta quella altrui, e fa di più, ogni giorno, ogni pattuglia, ogni distribuzione di aiuti, fa di più per la pace, di ogni preghiera, di ogni bandiera sul balcone, di ogni bandiera bruciata, di ogni fischio, di ogni litigata di talk show, di ogni lacrima da funerale, di ogni tagliuccio al bilancio, di ogni pensioncina riconosciuta, di ogni medaglietta distribuita, di ogni gesto di  questo paese confuso che manda i militari a fare la pace mentre i civili si fanno le guerre qui, di più di quello che questo paese allegro, quando non è giorni di funerali, è capace di fare?

di Toni Capuozzo

Grazie Ragazzi!

 

 

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