Antipirateria marittima: un business per pochi?
Riproponiamo un argomento per il quale i nostri cari lettori hanno sempre dimostrato un certo interesse: la pirateria marittima.
In questo post vi proponiamo un interessante articolo battuto dall’agenzia di stampa Adnkronos nel quale si pongono concreti dubbi sulla reale efficacia dell’attuale impianto normativo e sul rischio che “l’affare anti-pirateria” possa diventare una sorta di monopolio a favore di poche grandi agenzie.
Le aziende italiane protestano. Genova, 5 ago – Guardie private a bordo delle navi italiane che navigano in mari a rischio pirateria: dopo anni di discussioni, appelli di Confitarma a non lasciare indifesi marinai e navi, e decine di unità sequestrate, nei giorni scorsi è stato annunciato il primo imbarco di guardie private su un mercantile italiano, la “Pan Uno” della società napoletana Augustea Atlantica.
Ma a svolgere il servizio di sicurezza, integrativo rispetto a quello della Marina Militare, sarà una società straniera, la londinese Triskel Service ldt, che da pochi mesi ha aperto una filiale a Roma, con la missione specifica di prestare i servizi per la difesa di unità mercantili italiane e starebbe procedendo, attraverso corsi di selezione e di formazione, gestiti dalla controllata Triskel Risk Management srl, alla preparazione di personale italiano specializzato. La scelta di una compagnia inglese, che eroga i suoi servizi secondo le norme comunitarie, colmerebbe un vuoto, dovuto alla mancanza, sul mercato italiano di aziende nazionali specializzate nei servizi di antipirateria. Ma le aziende italiane protestano, sostenendo di essere escluse dal mercato dalla mancanza delle norme che dovrebbero regolare il loro operato. ”Il paradosso – spiega Carlo Biffani, presidente di Assosecurnav e direttore generale della Security Consulting Group di Roma – è che si fa ricorso a imprese straniere perchè il sistema privato nazionale non è pronto dal punto di vista normativo a fornire questo tipo di servizio e non lo è perchè le norme necessarie non sono ancora state emanate”.
”Stiamo ancora aspettando – ricorda Biffani – la circolare attuativa della legge 130, documento di cui si discute ormai da mesi, parlandone come si farebbe di una antica pergamena perduta, che dovrebbe darci la possibilità di ottemperare in maniera corretta e adeguata alla norma. La stessa Triskel, a quanto ci risulta, a bordo delle navi dovrebbe impiegare personale straniero”. ”In ogni caso – aggiunge – , la legge 130 nasce già con un vizio unico nel suo genere, che distorce il mercato a tutto svantaggio delle imprese italiane. Il fatto che l’armatore intenzionato ad acquisire un servizio di protezione sia costretto per legge a rivolgersi a uno dei fornitori, la Marina Militare, e solo in caso di un eventuale diniego della Marina possa chiedere ad attori privati di provvedere alla quotazione di un servizio, rappresenta un vulnus di carattere com
merciale quasi insuperabile. Si tratta di una distorsione che non trova eguali in nessun altro settore del commercio comunitario ed è un po’ come se, per fare un esempio, lo Stato avesse fatto una legge che preveda che chiunque desideri acquistare un autovettura sia costretto prima di tutto a vedere se la Fiat – ribadisco, è solo un esempio – sia in grado di soddisfarlo. Solo dopo un eventuale diniego da parte di quella azienda il consumatore sarebbe autorizzato a rivolgersi ad altri possibili fornitori”.
”Teniamo presente – precisa Biffani – che i transiti giornalieri di navi italiane nella zona a rischio – Suez – Oceano Indiano sono circa otto. Di questi, quattro sono coperti dalla Marina Militare e due effettuati da navi veloci che non hanno bisogno di protezione. Alle imprese italiane rimangono da disputarsi due transiti al giorno. Briciole, per le quali è difficile sostenere un approccio industriale, con business plan che preveda investimenti in formazione, organizzazione e tutto il resto”. ”Peccato, perchè il settore rappresenterebbe un’opportunità di crescita e di sviluppo: il servizio di sicurezza per un transito, che dura una decina di giorni, costa mediamente 25.000 – 30.000 euro, 2.500 – 3.000 euro al giorno per tre – quattro operatori. Considerato tutto questi ostacoli, credo siano da interpretare con grande ottimismo e con enorme rispetto i tentativi di proporsi come player di questa dinamica commerciale fatti da due o tre istituti di vigilanza italiani che malgrado tutto hanno deciso di scommettere su se stessi e di provare a giocare la partita. Credo fortemente che andrebbero in ogni modo aiutati e nel nostro piccolo è quello che stiamo cercando di fare con la nostra associazione, Assosecurnav. Stiamo cercando di chiudere accordi con realtà titolate in loco per ottenere disponibilità di noleggio delle armi e di appoggio logistico, in modo da dare la possibilità, a chi ne abbia il coraggio, di poter essere a brevissimo pronti a lanciare la sfida”. Secondo Antonio de Felice, consulente specializzato nell’analisi geopolitica e nel crisis management, ”all’origine di questa situazione paradossale, di uno Stato che esclude dal mercato nazionale le stesse aziende nazionali, c’è una legge completamente inutile e sbagliata. In due anni non si è riusciti ad applicarla, è troppo complessa, pretende di normare problematiche impossibili da definire in astratto e trascura o non chiarisce ciò che sarebbe necessario indicare. E’ per questo che non si è ancora riusciti a fare il regolamento attuativo. Bisognerebbe prenderne atto, abolire la legge e ripartire da capo”. (Adnkronos)
Ringraziamo per questa interessante segnalazione il nostro collaboratore ed amico Fabio. (seguitelo su Twitter )
La Marina Militare dovrebbe fare solo la scorta su corazzate, le uniche con potere di fermare e ispezionare battelli pirata in base alla Convenzione di Montego. A bordo dei mercantili invece mettiamoci guardie private