Ancora sul Decreto Antipirateria...

Ancora sul Decreto Antipirateria…


Il parere di un esperto: Edoardo Mori

Dopo un po’ di latitanza torniamo sull’argomento Antipirateria proponendovi il parere dell’esperto di diritto delle armi Edoardo Mori sul Decreto M.I.  28.12.12 n.266. Forse i toni usati nel suo articolo sono un po’ forti e potrebbero fare storcere il naso a più di qualcuno, tuttavia riteniamo che analizzare un problema da più angolazioni rappresenti il metodo migliore per affrontarlo, senza che preconcetti o fuorvianti convinzioni personali possano influenzarci.

Per i pochi che non conoscessero Mori, possiamo dire che rappresenta uno dei massimi esperti italiani in ambito di armi e di diritto delle armi, magistrato fino all’ottobre del 2010, è autore di numerose valide pubblicazioni sul mondo delle armi. Potrete trovare maggiori informazioni sul suo sito earmi.it dal quale abbiamo tratto il seguente articolo:

Dicono i filosofi che il riso viene scatenato da quelle situazioni in cui improvvisamente viene sconvolto l’ordine delle cose: ad esempio una persona molto compunta ed elegante che mette un piede su di una cacca di cane e vi scivola sopra scompostamente.
Se ciò è vero il Decreto del Ministero dell’Interno 28 dicembre 2012 n. 266 (G.U. 29-3-2013) è un indiscutibile capolavoro di comicità.
Il problema è noto: sul il corno d’Africa vi sono pirati che assaltano nostri mercantili e li sequestrano per ottenere poi riscatti milionari. Le nostre navi militari non possono essere dappertutto e perciò gli armatori hanno pensato di autodifendersi.
Il Ministero dell’Interno (che con il problema non c’entra proprio nulla) ha voluto metterci il naso ed è scivolato sulla e dentro la cacca perché, al solito, non sapeva di che cosa stava parlando. Il decreto sembra scritto  dal solito burocrate che le nozioni sui pirati le ha prese da Salgàri e che di diritto della navigazione sa ciò chi si apprende a Rimini noleggiando un pedalò.
Il decreto (a lungo elaborato sotto stretto segreto militare!)  stabilisce che  gli armatori sono autorizzati ad ingaggiare od assumere guardie giurate le quali però dovranno avere seguito un corso specifico presso il ministero dell’interno e dovranno avere licenza di porto di arma lunga; le navi dovranno munirsi di armadi per custodire le armi; le guardie dovranno essere almeno quattro; le armi potranno essere usate solo per legittima difesa; il questore deve essere informato del loro imbarco e sbarco anche se esso avviene all’estero; le armi acquistate devono essere denunziate  alla PS; le armi comuni personali le guardie se le possono portare dietro, ma con licenza di esportazione; l’armatore può detenere  fucili d’assalto, ma di calibro non superiore al 308 Win.; le armi devono essere conservate scariche e in armadi corazzati e la chiave la deve conservare il comandante; il numero delle armi deve essere pari al numero delle guardie  + due con 1500 cartucce per arma. Altre minuziose disposizioni concernono la movimentazione delle armi a terra. Come se già la materia non fosse ampiamente regolata dalla legge.

Ciò che sconvolge è la totale ignoranza di ciò che è il mondo giuridico a bordo di una nave mercantile (che è come una piccola parte di Italia governata con pieni poteri da un governatore detto comandante), regolato dal  Codice della Navigazione R.D. 30 marzo 1942, n. 327, in cui si legge:
– tutte le persone che si trovano a bordo sono soggette all’autorità del comandante della nave (art.186)
– l’imbarco di armi e munizioni per uso della nave è sottoposto all’autorizzazione del comandante del porto o dell’autorità consolare (art. 193)
– Il comandate è ufficiale di polizia giudiziaria per i reati commessi a bordo o contro la nave ed è il responsabile della pubblica sicurezza.
– In caso di pericolo tutti i componenti dell’equipaggio  devono collaborare alla salvezza della nave, delle persone imbarcate e del carico (art. 190)
– In caso di necessità per la sicurezza della spedizione, gli arruolati possono essere adibiti a qualsiasi servizio. (art. 334).

Da ciò si deduce che tutta la procedura di scelta e assunzione delle guardie giurate è una amena invenzione ministeriale che serve solo  a dar lavoro a qualche disoccupato che se ne starà ad oziare per qualche settimana su di una nave, in attesa che il radar avvisti una barca di pirati! In realtà non ve ne era alcuna necessità perché:
– Ogni componente dell’equipaggio è tenuto a concorrere alla difesa della nave e perciò il capitano (o l’armatore) può addestrare a ciò chi ritiene più idoneo e non deve neppure pagargli lo straordinario;
– Le norme che consentono al capitano di caricare armi e munizioni esistono già fin dal 1942  e non è certo un decreto ministeriale che può restringere o ampliare le leggi;
– A bordo di una nave è il capitano che decide come e dove custodire le armi, quando metterle in mano a chi deve difendere  la nave, se tenerle cariche o scariche; non può essere di certo un questore a 5.000 miglia di distanza;
– perché mai l’armatore dovrebbe assumere del costoso personale, sottratto alle regole che governano il lavoro marittimo, quando spende meno e ha minori problemi se utilizza dei marittimi? Semmai assumerà come consulente un’esperto mercenario o un incursore che ne sa certo di più degli istruttori del Ministero dell’Interno che il mare lo hanno visto dal citato pedalò.

Ma il decreto gronda ignoranza  là dove scrive che le guardie possono sparare solo per legittima difesa, affermazione che può fare solo chi ha preso la laurea in legge per corrispondenza. L’art. 53 del Codice penale stabilisce chiaramente (e ciò non può essere cambiato da un decreto) che qualsiasi persona richiesta da un pubblico ufficiale (qui il comandante della nave) di essere aiutato nei suoi compiti, ha diritto a far uso legittimo delle armi, non solo per difesa personale, ma per difendere l’autorità. A maggior ragione hanno tale diritto le guardie giurate a cui il Ministero, al solo scopo di aggirare normative europee, ha voluto attribuire la qualifica di incaricati di pubblico servizio (si veda  http://www.earmi.it/diritto/leggi/guardie%20giurate3.htm ). E per usare su di una nave le armi per legittima difesa o per difendere l’autorità, sotto il controllo del comandante, non c’è davvero bisogno di avere la licenza di porto d’armi!
Circa il fatto di limitare l’armamento a fucili d’assalto (in cal. 308 W., non 7,62 Nato; forse che si dovranno usare munizioni da caccia?!!) rinasce il sospetto che chi ha scritto il decreto si immaginasse pirati seminudi sul sampan e con lo yatagan fra i denti! Purtroppo per lui i pirati somali sono muniti di razzi sovietici RPG-7m, con cui si può far esplodere una petroliera da mezzo chilometro e quindi anche la difesa con mitragliere cal. .50 sarebbe stata molto auspicabile. E perché mai un comandante che ha trenta persone di equipaggio che possono difendersi con 30 fucili, deve autolimitarsi a far sparare solo quattro guardie giurate? Ma lo sanno al Ministero che una nave è un po’ più grande di una “pantera” e che può essere assalita da qualche decina di pirati, da tutti i lati?
Il Decreto è senz’altro utile a tranquillizzare i pirati: andate tranquilli che sulle navi italiane più di quattro o cinque poveri cristi con un fuciletto non troverete mai: e se siete rapidi non faranno neppure in tempo ad aprire l”armadio in cui i fucili si trovano sigillati e scarichi!
Ma è possibile che si possa andare avanti con una burocrazia così inetta, incapace di ogni sia pur minima semplificazione, che vuole applicare le leggi senza conoscerle, che sente sola la fregola di scatenarsi  ad inventare regole su regole, sempre più vacue ed inutili, che strangolano ogni attività e sono solo fonte infinita di sprechi? Ma non si potrebbe organizzare uno scambio di questi funzionari con i marò in India?

La disamina del Dott. Mori evidenzia diversi punti deboli di questo Decreto, ma forse potrebbero non essere gli unici; ci permettiamo di integrare quanto detto nell’articolo sopra riportato con questi ulteriori aspetti che, a nostro avviso, potrebbero rendere difficilmente applicabile tale strumento legislativo:
In primo luogo l’Art.3 indica abbastanza chiaramente che l’attività di protezione fornita da istituti privati potrà avvenire solo nel caso in cui il Ministero della Difesa comunichi all’armatore che non vi è possibilità di fornire Nuclei di Protezione Militare; pertanto la possibilità dell’armatore di servirsi di protezione privata è subordinata, di volta in volta al parere del MinDife; questa incertezza nella continuità degli impieghi, a nostro parere, potrà comportare una difficoltà di pianificazione da parte degli istituti, con evidenti ripercussioni sugli investimenti finalizzati all’assunzione di personale e alla relativa formazione.
Un altro grosso problema sarà rappresentato dall’uso delle armi, riconducibile, secondo il Decreto, all’Art.52 del c.p. sulla “legittima difesa” che a nostro avviso mal si conciglia con le ROE e le situazioni “tattiche” tipiche di un tale impiego; in altre parole l’art.52 che già comporta non pochi problemi sul territorio nazionale, potrebbe esporre a serie ripercussioni legali gli operatori che dovessero essere “attivati” dai pirati in navigazione.
In ultimo, ma non per rilevanza, è da tenere in debito conto l’aspetto della gestione degli armamenti: all’art.6 si parla di cessione in comodato delle armi da parte dell’armatore, ma la Legge 110/75 (Art.22) vieta espressamente il noleggio o comodato di armi che non siano classificate come sportive o da caccia, ed un decreto, essendo di rango inferiore ad una Legge dello Stato, non ne può modificare o alterare la ratio. Ci domandiamo quindi come il legislatore possa aver posto in essere una tale discrasia senza rendersene conto.
Auspichiamo che i vari Ministeri interessati possano quanto prima emettere qualche circolare esplicativa ed interpretativa che possa dare una risposta a questi quesiti che se irrisolti potrebbero seriamente minare l’applicabilità del Decreto rendendolo, di fatto, valido solo sulla carta; a conti fatti c’è il rischio che il naviglio italiano si trovi presto a viaggiare  senza più operatori nè militari, nè civili a bordo.

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